La Stampa Fotografica Alternativa - la Stampa al Carbone

Alternate Processes -  Carbon Printing

Una risposta al video YouTube di Giacomo Barazzoni sulla Stampa al Carbone

Molto interessante. L’ho guardato per curiosità e un po’ di nostalgia, visto che non ho intenzione di impegnarmi con la stampa al carbone. In passato ho lavorato tra i mezzi alternativi tecnicamente meno esigenti. Sono newyorkese, e ho imparato alcuni procedimenti tipo cianotipia, callitipia, gum-bichromate, carbro, e carbone in un paio di corso tenuti al ICP, l’International Center of Photography, condotti dal fotografo Daniel Kazimierski, circa 1981. Indipendentemente ho fatto numerose stampe in palladio con i miei lavori personali. (Ho lavorato anche in un laboratorio fotografico dove facevano stampe dye-transfer per scopi commerciali. Non le ho fatte io, facendo tecnico di stampe cromogeniche o Type-C; comunque andavo via da lì sempre con la puzza dell’acido acetico addosso.)

Il video, di circa 25 minuti, è molto informativo e chiaro.  Giacomo Barazzoni dimostra e spiega come fare la stampa al carbone a colore:

https://www.youtube.com/watch?v=zM9cvBNwJVY 

(L’immagine sopra ho preso dalla copertina del libro di Luis Nadeau, ”Gum Dichromate”, 1987.  È un’incisione presa da libro ”Le procédé à la gomme bichromatée ou Photo-Aquateinte” di A. Maskell e R. Demachy, Paris, 1898, p61.  Dimostra come si sviluppa la carta Artigue, versando una miscela di acqua e segatura sulla stampa esposta.  L’uso senza permesso, però spero che a Luis Nadeau non dispiace.)

Devo dire che la palladiotipia, la callitipia, e la cianotipia sono robe da bambino in confronto alle stampe a gum-bichromate, carbro, e carbone - anche stampe monocromatiche piuttosto che tricromatiche. Secondo me, chi vuole aver successo con questi procedimenti ha bisogno di (oltre dei requisiti logistici e tecnici) la pazienza di un santo, particolarmente se vuole un risultato “realistico”, paragonabile ad altre stampe a colore. Nel periodo di apprendimento forse è meglio limitarsi alla monocromia, oppure, lavorando a colore, usando immagini che tollerano una ampia gamma di risultato, forse le immagini più “astratte” o almeno prive di soggetti che esigono una grande fedeltà di colore. 

A quel periodo ero molto coinvolto con il motivo del mandala, che mi lasciava un po’ di latitudine per imprecisioni, imprevisti, ed errori. Mi ricordo bene una stampa al carbone (solo nero), che stava andando a perfezione nello sviluppo nella vaschetta d’acqua; poi, improvisamente comparivano centinaie di bollicine che uscivano dalla carta, così rovinando la stampa. 

Negli anni 1977-79 ho lavorato come assistente per Irving Penn, coinvolto soprattutto nella sua produzione di stampe a platino. Lui si era inventato un procedimento per fare delle stampe usando applicazioni/esposizioni e sviluppi multipli - spesso due passi, a volte tre (sempre con l’immagini bianco e nero). Usava negativi di diversi gradi di contrasto e densità per esporre diverse porzioni della scala tonale: tipicamente, uno “full-scale” per tutta la scala tonale intera dell’immagine, e poi uno più contrastato per rinforzare la densità delle ombre. A volte faceva anche un passo in più per estendere/raffinare i toni più chiari, con un negativo adatto. Credo che lui si ispirava a questo metodo pensando delle tecniche di stampe usate per i libri di fotografia (bianco e nero) di altissima qualità, tipicamente con tre stampate dedicate alle varie zone della scala tonale. 

Penn faceva delle stampe a colore gum-bichromate su una base di acciaio porcellanizzato. Ogni lastra pesava un quintale. Le immagini hanno un aspetto un po’ come i quadri di Seurat o dei Divisionisti. Una, di 1951, è di una signora ed un signore, non più giovane, che fanno la pesca da una barchetta. Ci sono altre del periodo delle persone che fanno la pesca dalle sponde del Seine, stampate variabilmente in gum-bichromate. photogravure, platino-palladio, o chissà. Idem un bellissimo paesaggio di 1964, “Cretan Landscape”, stampata in più modi. Sono trovabili al sito del Irving Penn Foundation, che ci riferisce a quello dell’Art Institute of Chicago. La cosa pazzesca e inestimabile del secondo link, per chi vorrebbe approfittare dalla esperienza di Penn, è che fa vedere 75 pagini di appunti tecnici molto comprensivi e precisi che ci ha lasciato Penn. 

https://irvingpenn.org/news/2017/3/22/experimental-printmaking 

https://artic.contentdm.oclc.org/digital/collection/mqc/id/15080 

Naturalmente (come per le stampe carbro a colore) ci voleva un sistema di registrazione preciso. Penn usava delle lastre di alluminio con della carta (di un peso medio) montata fronte e retro, e un foglio di carta finale montata sulla fronte, carta da ricalco sottile e molto liscia (e di cotone 100%), che assorbiva bene il cloruro di platino senza “bere” una quantità eccessiva (e poco economica). (Io personalmente ho preparato innumerevoli lastre di questo tipo.) Sulle lastre di alluminio lasciavamo un bordo esposto con dei buchi che permettevano l’uso di perni di registrazione, a cui tutti i negativi erano registrati. I perni erano di inox, e di un diametro forse 5 mm e un’altezza di forse 2 mm - bassa abbastanza per stare sotto il vetro del tavolo d’esposizione, dotato di una pompa d’aria che creava un vacuo dentro il tavolo, assicurando che il negativo sia ben messo contro la stampa durante l’esposizione. Sì, Penn aveva tutto - le risorse, le tecniche, gli assistenti. (E le foto!) Penn parlava una volta di essere “sposato” a questo metodo, e ha messo degli anni per perfezionare. 

In quegli anni m’interessavo anche nei procedimenti storici, che godevano una risorgenza di interesse dalla parte dei fotografi più inclinati alle belle arti. Ho raccolto alcuni libri, tutti in inglese: “The Handbook of Carbro-Carbon Monochrome e Trichrome” di Robert F. Green, M.D., 1981; “The Gum-Bichromate Book”, di David Scopick, Light Impressions, 1978; “Kwik-Print”, di Charles e Elizabeth Swedlund, 1978. In più ci sono quattro libri di Luis Nadeau (Classe 1951), canadese: “History and Practice of Platinum Printing”, 1984; “History and Practice of Carbon Processes”, 1982; e “Modern Carbon Printing”, 1986; e “Gum-Dichromate and other Direct Carbon Processes from Artigue to Zimmerman”, 1988. 

Nadeau è molto esperto sia nella storia che nelle tecniche di questi procedimenti. In particolare è un maestro del procedimento Fresson, forse quello più esigente di tutti. Questo è stato praticato dalla famiglia Fresson in Francia, di cui i particolari sono stati tenuti stretti segreti di famiglia. Nel 1977-79, Nadeau comprava il procedimento dalla famiglia, e iniziava la propria operazione in Canada. L’essenza, o la sua particolarità, però, sta nello sviluppo, che si effettua in una vaschetta d’acqua mescolata con della segatura finissima che aiuta a togliere le parti dell’emulsione non indurite dalla esposizione - oppure versando questa miscela sulla stampa (un po’ come fa Giacomo Barazzoni con il tubo d’acqua). Devo avvertire che non ho fatto una ricerca recente su questi argomenti (Nadeau ed il procedimento Fresson), oltre che una breve revisione dell’ultimo libro elencato, quindi quel che scrivo sarebbe da confermare. 

Chiedo scusa per questo lunghissimo commento, e ringrazio di cuore Giacomo Barazzoni per il suo video e per la sua devozione a queste tecniche difficili e d’interesse per pochi. Spero solo che sarà interessante e/o utile per il lettore. L’altro anno ad un vernissage, ho conosciuta una giovane donna brasiliana che ha creato dei bellissimi cianotipi. Per puro caso, avevo in macchina in quel momento delle bottiglie di nitrato d’argento e altri chimici, per tanti anni trasandati, che dovevo portare al centro di riciclo. Le dicevo che io, come un po’ un dinosauro della fotografia, ero contento di incontrare una giovane dinosauro. 

Chi vorrebbe vedere le mie immagini, siano palladiotipi, kallitipia, ecc, può andare a queste due “gallerie” del mio sito - la prima ha dei mandala fatti in vari modi, e la seconda delle immagini più classiche: 

https://www.allenschill.com/mandalas-photographic-palladium#1 

https://www.allenschill.com/palladium-prints#1 

L’immagine sopra - dal vicino 1888 - ho preso da un altro libro del inestimabile Luis Nadeau, Modern Carbon Printing (1986), p49.  Illustra il metodo di preparare le veline pigmentate per la stampa al carbone.  Prima, si mettono una lastra di vetro e un foglio di carta nella acqua calda per qualche minuto.  L’insieme viene messo in una cornice come illustrato (la carta sopra).  Poi si versa la gelatina pigmentata sulla carta, e trascina con l’asta la pozzanghera in modo di distribuire il liquido attraverso la carta.  Dopo qualche minuto lo strato pigmentato si sarà alquanto solidificato e pùo essere appeso per asciugarsi.  Per il fai-da-te che non vuole sapere dei limiti!  I comuni mortali possono/devono comprare la carta pigmentata già preparata.  

Non voglio assolutamente dare l’impressione, con queste illustrazioni dell’ottocento, che i libri di Nadeau sono intesi per gli antiquari della fotografia.  Nadeau le usa per dare un senso della storia della tecnica fotografica - è un suo forte - e perché sono deliziose (credo) - ne sono d’accordo.  Sul livello tecnico/pratico Nadeau è modernissimo, affidabilissimo e dettagliato.  Con i suoi libri non pensa di mandare nessuno nel mondo dei nostri bisnonni con qualche idea romantica di fare come si faceva una volta, o in ricordo del passato.

Allen Schill, Torino, Luglio 2023

Se riesco, tradurrò tutto sopra in inglese.

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